ORIGINE DI MONTOMBRARO
1. LE MURA ANTICHE DEL CASTELLO - ritrovate nel 2019
![]() |
Disegno rielaborato da Giorgio Tomba come da affresco Gallerie Vaticane (Castello di M.Ombraro - 1580) |
3. FRAMMENTO DI CAPITELLO CON INCISIONI SIMBOLICHE RELIGIOSE
(PAGANE? CRISTIANE?)
Non si capirebbe altrimenti il perchè non sia stato edificato con minor fatica ex novo. Perchè demolire e poi costruire sulle rovine quando riesci a semplicemente a costruire a fianco con minor dispendio di fatica e impiego di materiali? Ma anche altri segni ci fanno ritenere la costruzione della Chiesa vecchia una struttura pre-cristiana, per esempio la presenza di; un puteus interno/un pozzo laterale esterno di struttura/la presenza di aree ipogee scavate nella roccia/le antichità evidenti di determinati laterizi/ una colonna all'interno della struttura inglobata nella parete segno di precedente fondazione/la grande volta d'arco dell'ingresso di stile romano/ nonchè le narrazioni del manoscritto del 1792, che citano il ritrovamento di una incisione trascritta da una lapide (pagana), che richiama la terminologia romana della costruzione dei templi al tempo di Augusto (Dedicatio). Il documento inoltre narra di un affresco trovato nel 1792 sotto i muri, di 8 figure di persone ricondotte "all'uso antico" senza rivendicarne l'appartenenza all'iconologia cristiana, già ben nota in quel periodo.

Pietra alta circa 35 cm x 40 larg. x 22 spessore
Scultura mostrante una coppia di torce incrociate accese, inserite in una ghirlanda (di alloro? spighe? fiori?) fra le fiaccole nella parte superiore si notano due altre sculture speculari (forse uguali o complementari) però simbolicamente pressochè illeggibili.
Le torce accese sono chiaro simbolo romano, come la corona, richiamano i riti delle sepolture.
le 2 figure speculari fra le 2 torce non sono
Dal negativo abbiamo l’impressione che possa somigliare verosimilmente ad un uovo dischiuso da cui nasce una colomba. La forma rotondeggiante dell’uovo si evince dall’osservazione visiva/diretta del manufatto mentre in foto non rende l’idea. Mentre rimane dubbia la supposizione dell'uovo ci sembra di poter interpretare però la presenza di un volatile (colomba?) con le ali dischiuse ben visibili, il becco si nota maggiormente dal negativo.
Ci siamo chiesti se il manufatto possa essere stato smantellato da quel sepolcreto a sei stanze funerarie durante la distruzione dei templi pagani in favore del Cristianesimo.
A maggior ragione se fosse un manufatto pagano, potrebbe essere stato “murato/riutilizzato” appositamente durante il passaggio all’era cristiana, quando si ordinò la sistematica distruzione dei templi pagani per la riconversione o la riedificazione degli stessi.
Possiamo solo fornire ipotesi di studi insieme a documenti certi.
Inoltre affiancato ad esso, si presenta un'altra nicchia, ora priva di incisioni/simboli, ma sicuramente di epoca remota.
l’UNICA SOMIGLIANZA VEROSIMILE DA POTER PARAGONARE AL NOSTRO CONCIO POTREBBE ESSERE QUESTA:
Rif. Web : 69 Z. Pane in bronzo con diametro di cm.26 con segno di valore XXVII sulla faccia superiore. II° secolo (100- 200 dopo Cristo)
diverso dalle usuali abitazioni rurali del borgo.
A nostro parere sarebbe da studiare non solo per i 2 conci osservati, ma anche a livello architettonico per il suo stile "forestiero" retaggio forse di qualche usanza o emigrazione bizantina?
5. LE GALLERIE SOTTERRANEE
Le antiche gallerie di Montombraro (quelle conosciute e documentate dalla gente anziana di paese) sono 3. Alcuni anziani fortunatamente ancora le ricordano per averle frequentate da piccoli nei loro giochi.
Ecco una ns. rielaborazione circa la loro esatta ubicazione.
Probabilmente anche queste gallerie dovevano essere tutte collegate fra loro, in particolare alle “vedette”, cioè alle torri di avvistamento e alla Rocca. Si dipartivano dall’alto, cioè dall’area più alta del castello per diramarsi in 3 punti del borgo, cioè a Levante, a Mezzogiorno e a Ponente. Perlomeno questo è quanto si sa al momento, sulle testimonianze riportate da alcuni anziani del paese. Se il reticolo, in epoca precedente era ancor più organizzato , potrebbe essere anche più ampio di quanto si conosca ad oggi; sarebbe cosa ancora da scoprire ed appurare.
Per capire esattamente dove sbucavano, siamo stati sul luogo insieme agli anziani. E’ importante scriverne per non perderne la memoria. Come detto, queste vie del sottosuolo unitamente a tutti gli altri elementi estrapolati da documenti ed immagini indica M. Ombraro come un borgo estremamente difeso e fortificato. La presenza di gallerie fra loro collegate, un vallo, strutture murarie, un fossato, ne testimoniano una organizzazione architettonico-militare alquanto strutturata.
Su attendibile testimonianza del Sig. Leopoldo Lotti, anziano di Montombraro, sono emerse notizie importanti su questa galleria.

Egli l’ha anche illustrata qui a lato.
La galleria sbucava nel cortile poco dentro l’incrocio fra l’attuale Via della Piscina (che va in direzione via Fontaneda) e la via principale.
Dalla descrizione delle misure si evince una galleria di ampiezza più che agevole, atta al passaggio di birocci, cavalli e persone. Si riporta che fosse pavimentata, così come quella disposta a levante.
In prossimità di questa galleria è documentata, fino al 1955, anche una casa-torre. (abitazione del fu Efro Rossi) oggi ribassata e adattata ad uso di comune abitazione.
Questa area rappresentava il limite della fortificazione occidentale del Castello. La presenza di una casa-torre in questo luogo deve aver avuto importanza nel passato, come torre di difesa e di avvistamento orientata sul settore di Ponente che dà sulla vallata del Samoggia e del Modenese, nonché sulla via pubblica per tutto ciò che si muoveva da Ovest. Non sarebbe un caso l’abbinamento fra casa-torre e galleria, quali elementi-simbolo della fortificazione su quel lato strategico del paese.
Le gallerie consentivano di ripararsi dal nemico, di effettuare prontamente i collegamenti fra i vari punti del borgo, consentendo di armarsi anzitempo e mettere al riparo quanto più possibile. Poteva anche fungere da via di fuga verso l’altro lato (a levante) della fortificazione.
Di questa galleria si conosce solo il primo tratto superiore, che è tuttora agibile e visibile. Si tratta cioè di quel tratto sotterraneo che collega la sommità di Montombraro (ovvero la Chiesa Nuova con la Canonica sottostante) nel punto a mezzogiorno del borgo. Questo piccolo tratto conosciuto che conduce alla Canonica è largo ca. 1,20 mt., alto quasi 2.50 mt. ed è completamente pavimentato.
C’è da dire che questo tratto di tunnel fu ricavato dal Parroco Don Girolamo Bortolotti nella primavera/estate del 1804 , fra le sue memorie si legge : “[…] si è travagliato in un’ opera che fu sempre riportata impossibile, cioè di unire la canonica alla chiesa per una via sotterranea essendo il monte composto tutto di durissimi macigni strettamente legati. "
Il prete conosceva sicuramente le gallerie percorribili esistenti in loco qui descritte poiché erano aperte, nel documento non si parla di un tunnel preesistente (in ugual misura non si può nemmeno affermare il contrario) e questo primo tratto sembra esser stato realizzato in quel periodo. Forse il Parroco pensò all’utilità di queste vie sotterranee che già servivano il paese, realizzando un progetto similare a quello lasciato dagli antichi. Oppure trovò già qualche traccia passaggio sotterraneo da ampliare ? Nel documento non si evince né l’una, né l’altra certezza.
La galleria di Levante, scendeva dall’alto del monte (non è dato conoscerne l’imbocco) e sbucava dabbasso su Via Fontaneda dietro il Collegio San Carlo, appena fuori delle mura, in prossimità con l’attuale parcheggio.
Fu utilizzata, durante il 1900 per conferirvi la spazzatura, prima che venisse richiusa negli anni ’70.
Qualche paesano ne ha ancora buona memoria.
Il Sig. Aurelio Balugani, nato nel 1926, dice di averla frequentata in epoca adolescenziale poiché da ragazzo era studente del Collegio San Carlo e talvolta i ragazzini andavano in quel luogo a giocare.
Ci ha indicato il punto preciso di dove era ubicata (vedi foto sopra) descrivendola pavimentata e non grezza, larga abbastanza per passarci con un carro, di lunghezza relativa, ovvero solo 5 metri addentro.
Invece, il Sig. Lanfranco Tonioni, coetaneo del Sig. Balugani, pur riferendo le stesse dimensioni e caratteristiche, dichiara che si estendeva ben più di 5 metri e che si poteva procedere al suo interno per circa 30/40 metri, dopodiché risultava ostruita.
6. LA GHIACCIAIA o NEVIERA
E’ una costruzione del passato che merita di essere valorizzata e conosciuta maggiormente.
Si trova proprio di fronte al piazzale che rimane dietro l’ex Istituto S.Carlo, all’interno di una proprietà privata, si affaccia sulla Strada Fontaneda.
E’ anche probabile, qualora il nostro manufatto si rivelasse di epoca medioevale, che fungesse da Neviera.
La Neviera è una struttura ipogea (scavata nel sottosuolo, come quella di Montombraro) che può raggiungere la profondità di 6 mt.o più, con diametri variabili. Si trattava di luoghi con caratteristiche particolari in cui si stipava la neve allo scopo di ricavarne il ghiaccio. Per svolgere questa funzione venivano sfruttati freddo ed acqua, entrambi elementi intensamente presenti nelle regioni di montagna.
Anche se questa pratica fu introdotta dai Romani [1] e dai Greci che ne fecero largo e diffuso consumo/commercio, la compravendita della neve fu molto praticata nel Medioevo, si sviluppò principalmente tra il 1300 e la prima metà del 1900. Questi furono i secoli della cosiddetta Piccola Età Glaciale durante la quale le basse temperature permisero frequenti nevicate e durevoli formazioni di ghiaccio anche a quote relativamente basse. Solo con tale presupposto si possono oggi giustificare queste strutture: da due secoli il clima si sta naturalmente evolvendo in un nuovo periodo caldo, tendenza notoriamente accentuata dall’influenza dell’uomo.
Le Neviere avevano la necessità di situarsi in luoghi freddi, di mantenere un elevato isolamento termico, di evitare qualsiasi immissione di acqua e di possedere un buon drenaggio delle acque sul fondo. Il ghiaccio o la neve rimanevano isolati dalle pareti per mezzo di materiali coibentanti come paglia, foglie o fronde. Gli stessi materiali venivano inseriti tra i progressivi strati di ghiaccio o neve (alti circa venti centimetri) che si elevavano sino al totale riempimento dei volumi. Il lavoro di riempimento e svuotamento era agevolato dal posizionamento di impalcature formate da tavole e travi; quest’ultimi venivano inseriti nei fori perimetrali ancor oggi visibili.
In montagna, ove prevalevano le neviere al posto delle ghiacciaie : pozzi subcilindrici, o troncoconici, in pietra a secco scavati su poggi rivolti preferibilmente a settentrione spesso in prossimità di depressioni o di avvallamenti al fine di agevolare l’accumulo e la raccolta della neve o di acqua ghiacciata.
Questa veniva raccolta nei prati circostanti, e poi mediante il gerlo portata in prossimità dell’imbocco che solitamente era sistemato al vertice della cupola. Qui altre persone gettavano la neve tramite la botola all’interno della ghiacciaia mentre altri aiutanti dentro la ghiacciaia ne sistemavano e ne compattavano la neve.
ll ghiaccio destinato alla vendita e al consumo era prelevato dalle neviere nelle ore più fredde del giorno, veniva quindi compattato in appositi contenitori opportunamente coibentati per essere trasportati a dorso di mulo o di bue a destinazione. Il ghiaccio era altresì trasportato con gerle dall’uomo. Normalmente il viaggio dalla neviera alla città avveniva di notte o nelle prime ore del giorno per evitare un eccessivo scioglimento del ghiaccio.
Il fatto che la nostra Neviera fosse in diretta prossimità con la Galleria di Levante non sembrerebbe un elemento così casuale. (come ribadito, occorrerebbe datare scientificamente la detta ghiacciaia). Nel caso in cui risultasse di età medievale, la galleria poteva fungere da collegamento alla stessa. E si potrebbe allora ipotizzare che fosse la Neviera del Castello e dell’intero paese. Tutti i castelli avevano la loro ghiacciaia in luoghi riparati e morfologicamente adeguati ed averne una era segno di ricchezza e di distinzione.
Non è un caso che talune ghiacciaie di castelli medioevali venissero realizzate al di fuori delle mura, in luoghi protetti dalla vegetazione, luoghi ombreggiati al riparo dal sole, spesso rivolte a Settentrione o a Levante, luoghi idonei sia alle correnti atmosferiche sia al drenaggio e alla raccolta stessa della neve, in prossimità di bacini d’acque od ampi spiazzi ove condurre carriaggi per il trasporto della stessa nella Neviera.
Le neviere maggiori hanno un diametro dai tre ai quindici metri, occasionalmente pareti intonacate, copertura a volta o a botte, spesso una scala ricavata nella muratura perimetrale alla quale si accedeva tramite una porta. La neve era stipata in strati di dimensione conveniente al fine di essere facilmente frantumata al momento dello svuotamento. Lavoro eseguito con una strumentazione dedicata allo scopo come, ad esempio, larghi e corti picconi. Un poco di paglia, o altro materiale idoneo, divideva i progressivi strati di neve pressata.
Dalle dimensioni sopra citate sembrerebbe trattarsi di una neviera di una certa importanza.
Servì la popolazione di M.Ombraro fino al primo dopoguerra, per la conservazione della carne e dei cibi dopodiché cadde in disuso.
Come da foto sopra , le due strutture risultano molto simili fra loro. Presentano le stesse dimensioni. Quella medioevale di Strozza (BG) è diventata oggetto testimoniale e richiama ogni anno, come dichiara il Sig. Giuseppe Ghidorzi, ricercatore e scopritore della medesima, migliaia di persone e scolaresche. Questa scoperta ha consentito al paese di riprendere forte impulso e sviluppo.
Perché dilungarsi a parlare di Strozza ? Perché Strozza dovrebbe servire a mostrare come dare nuovo imprinting anche a Montombraro. Si tratta di paesi piccoli ma che possiedono nel loro territorio manufatti del passato di notevole importanza, che in funzione di questa, diventano oggetto di interesse collettivo.
Anche la ghiacciaia qui sotto riprodotta è stata rivalutata e salvata. Ubicata nella periferia ovest di Bologna, in origine era adiacente e funzionale a due ville signorili bolognesi. (SECOLO XVII):
Non crediamo esista un censimento nazionale su ghiacciaie/neviere, ma a Bologna è stato realizzato nel 2010 un progetto censuario (il cuore freddo di Bologna : recupero e valorizzazione delle antiche ghiacciaie bolognesi) che raccoglie i dati della città di Bologna e della sua provincia. Ad oggi risultano ufficialmente censite n. 80 ghiacciaie/neviere in Bologna-città, e n. 40 nella provincia.
Per Modena non abbiamo trovato riferimenti in materia.
Altrove esistono “Musei del ghiaccio”, nei quali sono illustrati tutti i procedimenti e le ghiacciaie sono visitabili, quella ad esempio di Cerro Veronese, quella della Madonnina nel Pistoiese, tra le più celebri troviamo quella di Villa Spada, e quella di Villa Bernaroli a Zola Predosa ma anche San Lazzaro può vantare una ghiacciaia di tutto rispetto, seppur meno nota: all’interno del parco di Villa Dolfi Ratta possiamo infatti ammirare un’antica ghiacciaia settecentesca ancora intatta. A Bologna (la ghiacciaia del Sant’Orsola) o Cesenatico, le ghiacciaie sono visitabili turisticamente, inserite in tour organizzati, alla scoperta degli angoli più nascosti delle città e dei paesi.
Da oltre un secolo le neviere e le ghiacciaie hanno concluso la loro importante funzione e come qualsiasi altra struttura se non gli conferiamo una nuovo ruolo sono destinate a decadere.
Ci si augura allora che questa “preziosità” esistente nel nostro territorio venga salvaguardata da “chi di dovere“ e portata a testimonianza per le nuove generazioni realizzando percorsi non solo di studio ma anche a livello turistico-enogastronomico.
Abbiamo fatto analizzare dal Geom. Giuseppe Ghidorzi di Strozza , (tecnico esperto di Ghiacciaie/Neviere), lo stato conservativo della ghiacciaia di Montombraro. Ecco l'analisi di Ghidorzi.
7. I POZZI E I POZZI RASOI
Sarebbe anche interessante conoscere quanti sono i pozzi antichi esistenti nel borgo centrale di Montombraro per tentare di comprenderne le origini. Alcuni saranno relativamente recenti, ma qualcun altro anche molto più antico di quanto si pensi.

[1] vedi : http://www.archeobologna.beniculturali.it/bo_san_lazzaro/pozzo_caselle.htm
CIPPO TROVATO NEL 2019 NEL CAMPANILE DELLA CHIESA VECCHIA UN CIPPO IN FERRO? DOUBLE FACE CON SIMBOLOGIE SU ENTRAMBE LE FACCE.
Pietra dimensioni 35x30x20 ca. – decorazione in ferro 35x30 ca.
Dalla pietra si evince una scalpellatura sul piano, forse hanno asportato qualcosa ritenuto importante.
Questa faccia presenta il simbolo della croce longobarda o templare, presenta la figura dell'Angelo e la parte scura sembrerebbe un .... serpente? Mancano iscrizioni scritte.
al posto del serpente c’è una decorazione floreale mentre dalla parte dell’angelo non si riesce a capire la simbologia si notano 2/3 occhiature; al centro sembra un’ara con raffigurazioni non identificabili.
10. PIETRA DEL CIMITERO DELLA CHIESA VECCHIA
Dimensione piccola al pari di una mano, mostra segni rudimentali di graffiti. Si nota una specie di corona punteggiata nella 2^ scanalatura a dx.
Si nota una specie di linea verticale incisa a sx con decori rudimentali e una linea orizzontale tracciata in basso. Più che una pietra naturale sembra un tentativo di graffito.La stranezza è che risalta nella parete murale di colore bianco e pare si sia voluta apporre come elemento differenziale rispetto il contesto murario
Rinvenuti molti elementi rotondeggianti di apparente materiale pietroso, in luogo Dogana, sul crinale.
Note nostre su questa moneta
E' un quattrino battuto per la città di Bologna (di qui la scritta BONONIA DOCET) che pur facendo parte degli Stati della Chiesa manteneva una certa autonomia amministrativa, comprendente il mantenimento del privilegio di zecca e un sistema monetario leggermente differente da quello pontificio. La moneta se è del 1604 come ci sembra, fu battuta sotto il Pontefice Ippolito Aldobrandini. Si tratta di un quattrino in rame per Bologna, del tipo con il leone vessillifero, anepigrafe, al rovescio.
Tra prove, progetti, ritiri, ri coniazioni e sperimentazioni di nuove leghe questo periodo storico ci ha lasciato in eredità un gran numero di monete da 20 centesimi rari!
Indice dei Contenuti
Periodo Classico 1861 – 1911
20 centesimi 1863 “Stemma” Vittorio Emanuele II
20 centesimi 1863 “Valore” Vittorio Emanuele II
20 centesimi 1894 Umberto I – Nichelino
20 centesimi 1908 “Libertà Librata” Vittorio Emanuele III
20 Centesimi rari 1907 PROGETTO
Periodo Moderno 1911 – 1945
20 Centesimi Esagono 1918 PROVA
20 centesimi 1918 “Esagono” Vittorio Emanuele III
20 centesimi 1936 “Impero” Vittorio Emanuele III
20 centesimi 1936 “Impero” PROVA
Dal punto di vista monetario questo periodo fu ricco di cambiamenti che sottolinearono le differenze tra i due periodi del regno di Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna prima Re d’Italia poi.
Le differenze tra le monete del Regno di Sardegna e quelle del nuovo Regno d’Italia furono diverse, una di queste è la troncatura del collo sulla figura del Re sul retro delle monete.
Infatti le monete coniate durante il periodo di Vittorio Emanuele II Re di Sardegna lo ritraggono col “Collo Lungo“, quelle coniate nel corso del regno di Vittorio Emanuele Re d’Italia vedono raffigurato il Re con il “Collo corto”
Altra differenza è l’uso della lingua Latina per le monete del primo periodo e quella Italiana nel secondo periodo.
Commenti