Archeologico

Reperti archeologici a Montombraro e dintorni

ORIGINE DI MONTOMBRARO  

per saperne di più vedi qui :  MONTOMBRARO


Il paese di Montombraro (Mons Umbrarius) viene menzionato per la prima volta in una pergamena del 1100 conservata presso l'Archivio di Stato di  Bologna, di cui abbiamo fotocopia dall'originale, è stata tradotta dal ns. paleografo collaboratore, Dott. Angiolini. 

vai a questo link:    LA PRIMA CITAZIONE SU MONS UMBRARIUS

Si tratta di un contratto d'affitto o meglio d'enfiteusi.  

Il Toponimo Mons Umbrarius è stato accostato alla duplice definizione di:

Monte delle Ombre 
Monte degli Umbri  

Ed anche su questa etimologia abbiamo svolti ulteriori studi. 
Forse una terza accezione del toponimo può trovare un'altrettanto ipotesi valida quanto le prime due. Ma apriremo in seguito un articolo su questo studio, in quanto la materia è estesa ed illustreremo nel dettaglio la nostra interpretazione su un terzo toponimo.       



1. LE MURA ANTICHE DEL CASTELLO - ritrovate nel 2019


PREMESSA  STORICA
Il Castello di Montombraro è sopravvissuto fino al 1580, è stato raffigurato da Egnatio Danti nella galleria delle carte geografiche Vaticane. La sua rappresentazione è visibile sia nella "Ditio Bononiensis" sia nel "Ducato Ferrariae" .  
Da un manoscritto reperito presso l'Archivio di Stato di Modena 
(vedi link :  castello di Montombraro)

viene descritto un castello a 5 torri, con una porta d'ingresso situata nella parte bassa del paese, dotato di mura fortificate e fossato. 

Disegno rielaborato da Giorgio Tomba
come da affresco Gallerie Vaticane
(Castello di M.Ombraro - 1580)

Fu demolito verso l'inizio del 1600 per far posto alla costruzione della Nuova Chiesa S.Salvatore, accanto alla
Vecchia Chiesa (tuttora esistente),
Chiesa Nuova che venne edificata
verso il 1609/19 proprio sull'area del vecchio Castello.
Da testimonianze scritte di
alcuni Parroci qui vissuti, è riportato
che il materiale di risulta venne impiegato per la nuova costruzione.
D'altronde è risaputo che quasi
tutti i manufatti (ricavati nella demolizione già confezionati
e squadrati) furono utilizzati dalle
antiche popolazioni per opere di
reimpiego edilizio.
Qui sotto , ecco le antiche mura fortificate che cingevano il Castello, o almeno ciò che è possibile vedere oggi. Prima del 2019 non erano visibili, ma dopo una accurata
pulizia sono emerse di nuovo alla luce...


MURA DI SASSI - AREA CHIESA VECCHIA E CHIESA NUOVA A SETTENTRIONE DEL PIAZZALE


Rinvenuta muraglia in sassi (anno 2019) in occasione di una pulizia approfondita del piazzale antistante le 2 chiese. Rimane sulla sommità del monte. Si tratta delle antiche mura del castello demolito.



foto di Gianni Guidotti






2. ESAGONETTE ROMANE I sec. A.C. - III secolo D.C.

 
La datazione dei ritrovamenti per questa tipologia di manufatti si attesta dal I sec. A.C - al III sec. D.C.  
Trovate nell'area castellana, usate probabilmente come materiale di reimpiego in occasione di ristrutturazione del vecchio edificio di culto.  Potrebbero derivare una un'antica pavimentazione a tessere musive come si può ben notare.
Questa tipologia di piastrelle fu in largo uso nell'Italia Cisalpina soprattutto qui in E.Romagna.
Esagonette uguali a quelle di Montombraro sono state repertate a Claterna/Sarsina/Compito S.Giovanni...etc...  



ALTRE PARTICOLARITA’ -  LE URNE CINERARIE 

Montombraro fu luogo di ritrovamento intorno agli anni '30 di urne cinerarie.
Il giornalino di paese del 1963  fa menzione di questo ritrovamento avvenuto 30 anni prima, ma in assenza di verifica più precisa sulle fonti, al momento segnaliamo solo l'importantissima notizia.
Sarebbe indispensabile risalire alle fonti ma soprattutto agli eventuali reperti.
Le urne cinerarie rimandano ai culti pagani della cremazione, ai culti precristiani.   

giornalino di Montombraro 1963
    

NOTA: L'Autore del giornalino ha citato MONS UMBRORUM in modo del tutto erroneo, nei manoscritti medievali, nelle pergamene del XII secolo (1100) e in altri atti notarili, che abbiamo avuto la possibilità di reperire in copia, il toponimo è sempre stato MONS UMBRARIUS o MONS UMBARIJS, raramente MOTE OBRARA. Anche il Tiraboschi lo elenca nel suo Dizionario Topografico Estense col toponimo maggiormente utilizzato nei manoscritti che è "MONS UMBRARIUS"  
 




3. FRAMMENTO DI CAPITELLO CON INCISIONI SIMBOLICHE RELIGIOSE
(PAGANE? CRISTIANE?)
 



E' stato segnalato al Ministero dei beni Archeologici di Bologna, che ne ha disposto la relativa tutela.
E' stato rinvenuto da noi nei pressi della Chiesa vecchia, in seguito a segnalazioni, vicino ai muri di cinta della Canonica, nell'anno 2018.
Probabile che facesse parte della cinta muraria stessa, utilizzato come materiale di scarto/reimpiego per la costruzione delle mura, proveniente dallo smantellamento degli apparati edilizi religiosi preesistenti.

Si sa che la chiesa vecchia fu infatti luogo di sepoltura in epoca sicuramente compresa fra il 1600/1700 ed anche oltre. Antichi manoscritti tratti dall'Archivio Parrocchiale, riportano a 5 aree sotterranee destinate alla popolazione, dotate di altari. Il sotterraneo non è attualmente agibile, ma viene ampiamente descritto in un documento del 1792 come luogo preposto alle sepolture, indicandone esattamente le aree. In alcune di queste aree vi sono anche incisioni ben identificate nel documento. 

Secondo i ns. studi si ipotizza che la chiesa sia ancora più  anteriore al XI secolo (come riportato dal Tiraboschi) , che sia stata eretta cioè in epoca romana non solo per la presenza di tessere musive tipicamente romane in loco, ma anche per altri segni legati alla sua struttura di fondazione, compreso il campanile che riteniamo sia stato eretto invece successivamente (in epoca cristiana)  tagliando (demolendo) parte della facciata settentrionale del tempio esistente, per affiancarlo alla struttura, trasformando così un tempio pagano in tempio cristiano, utilizzando ciò che si poteva utilizzare senza distruggere completamente una peraltro solida struttura scavata nella roccia. Ricordiamoci che l'incastellamento è avvenuto intorno all'anno 1000, e che solo intorno a questo periodo tutti i borghi come Montombraro, intrapresero l'appiattimento delle loro alture per costruirvi sulla sommità i propri castelli. 

Da una visura aerea dell'intera area castellana del paese, questo dettaglio lo si può notare molto bene.
Evidentemente prima dell'azione della spianata rocciosa, riteniamo non vi fosse abbastanza spazio per costruire più in alto/affiancato un campanile, nel senso che l'area poteva essere effettivamente occupata dalla roccia. Il taglio del tempio è peraltro evidentissimo ed il campanile doveva essere assolutamente realizzato a fianco di una chiesa.
Non si capirebbe altrimenti il perchè non sia stato edificato con minor fatica ex novo. Perchè demolire e poi costruire sulle rovine quando riesci a semplicemente a costruire a fianco con minor dispendio di fatica e impiego di materiali?  Ma anche altri segni ci fanno ritenere la costruzione della Chiesa vecchia una struttura pre-cristiana, per esempio la presenza di;  un puteus interno/un pozzo laterale esterno di struttura/la presenza di aree ipogee scavate nella roccia/le antichità evidenti di determinati laterizi/ una colonna all'interno della struttura inglobata nella parete segno di precedente fondazione/la grande volta d'arco dell'ingresso di stile romano/  nonchè le  narrazioni del manoscritto del 1792, che citano il ritrovamento di una incisione trascritta da una lapide (pagana), che richiama la terminologia romana della costruzione dei templi al tempo di Augusto (Dedicatio).  Il documento inoltre narra di un affresco trovato nel 1792 sotto i muri,  di 8 figure di persone ricondotte "all'uso antico" senza rivendicarne l'appartenenza all'iconologia cristiana, già ben nota in quel periodo.      

Dopo una doverosa  premessa sulla Chiesa vecchia che necessitava per introdurre l'analisi del capitello , resta ora da capire, esaminandone gli elementi, a quale epoca potrebbe appartenere nonchè interpretarne la simbologia.
Abbiamo provato ad analizzarlo con l'occhio dello studioso, non certo dell'archeologo, ed esponiamo le ns. osservazioni in materia. 

Anzitutto abbiamo negativizzato la foto per rendere la visura dell'immagine anche in negativo.
Ci sembra appartenere alla simbologia religiosa. Tenendo conto del luogo dove è stato rinvenuto, riteniamo possa essere stato il frontone di un pilastro di un altare o di una arcata, situato nella Chiesa vecchia, forse nella cripta sotterranea. 
Ci sembra di poter ipotizzare si trattasse di un manufatto idoneo all'ambiente di culto, in quanto la simbologia richiamerebbe il culto dei riti funerari.


DESCRIZIONE

Pietra alta circa 35 cm x 40 larg. x 22 spessore
Scultura mostrante una coppia di torce incrociate accese, inserite in una ghirlanda (di alloro? spighe? fiori?) fra le fiaccole nella parte superiore si notano due altre sculture speculari (forse uguali o complementari) però simbolicamente pressochè illeggibili.

Le torce accese sono chiaro simbolo romano, come la corona, richiamano i riti delle sepolture.
le 2 figure speculari fra le 2 torce non sono 
di facile interpretazione. Quella di DX è appena più interpretabile.
Dal negativo abbiamo l’impressione che possa somigliare verosimilmente ad un uovo dischiuso da cui nasce una colomba. La forma rotondeggiante dell’uovo si evince dall’osservazione visiva/diretta del manufatto mentre in foto non rende l’idea. Mentre rimane dubbia la supposizione dell'uovo ci sembra di poter interpretare però la presenza di un volatile (colomba?)  con le ali dischiuse ben visibili, il becco si nota maggiormente dal negativo.


La simbologia richiama il rito della morte e della rinascita.
Simbolo cristiano ma anche pagano, spesso utilizzata nel sec. IV-VI d.c.
Ci siamo chiesti se il manufatto possa essere stato smantellato da quel sepolcreto a sei stanze funerarie durante la distruzione dei templi pagani in favore del Cristianesimo.
A maggior ragione se fosse un manufatto pagano, potrebbe essere stato “murato/riutilizzato” appositamente durante il passaggio all’era cristiana, quando si ordinò la sistematica distruzione dei templi pagani per la riconversione o la riedificazione degli stessi.
Rimane tutto da indagare comunque.
Possiamo solo fornire ipotesi di studi insieme a documenti certi.

rielaborazione sulla colomba e l’uovo



la corona tipicamente ispirata alla classiche corone romane presenta visibilmente l’intreccio di spighe di grano (soprattutto nel lato dx)



La torcia, come si nota, porta scanalature ed è leggermente conica 
come era la torcia olimpica


il nostro capitello presenta una impugnatura a calotta 

precisamente a doppia calotta; la calotta superiore concava contiene il braciere della fiaccola, quella sottostante convessa a protezione della mano.



L'immagine che è più verosimile per simbologia col ns. capitello, cercando nei Musei digitalizzati (nel web) è questa sottoindicata. 

Si tratta del coperchio di un'urna funeraria 
con torce accese incrociate 
e la coppa Calcare.
ascrivibile al periodo  Gallo-Romano

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Posizione: Musee des Antiquites Nationales,St-Germain-en-Laye, Francia.  -ID dell’immagine: P0DRKP-








4. PANETTO INCISO DENTRO LA PARETE MURARIA DI UNA CASA DEL CENTRO RIPORTANTE LA DATA DELL'ANNO 961 o 962 IN NUMEROLOGIA ROMANA ARCAICA CON SIMBOLO (STEMMA?) SUL FONDO + altra nicchia senza più incisioni


Nel corso delle ns. osservazioni sul territorio ci siamo imbattuti in un altro segno antico. Si tratta di un concio che rimane sul paramento interno di una casa del centro storico ma ben visibile anche dall'esterno. Si pensa il panetto facesse parte del primo antico muro interno della casa, che a seguito di ristrutturazione fu coperto o rinforzato, lasciando volutamente visibile la nicchia del concio che riporta una precisa data di incisione.
Inoltre affiancato ad esso, si presenta un'altra nicchia, ora priva di incisioni/simboli, ma sicuramente di epoca remota.

1^ panetto inciso con data romana arcaica (anno 961 o 962)
con simbolo o stemma sul fondo


DIMENSIONI CA. DIAMETRO CIRCA 25/30 CM.
L’ISCRIZIONE PORTA LA DATA IN  NUMERAZIONE ROMANA ARCAICA : A 961 ( o forse anche 962) , 
segue un SIMBOLO SUL FONDO DEL PANETTO ROTONDO da identificare.

Non è tra le cose che si insegnano a scuola, quindi ne parliamo in questa sede. 
Probabilmente quasi tutti sanno che nella numerazione romana 1.000 è indicato dalla lettera M e che 500 è rappresentato dalla lettera D. Questo da un certo punto in avanti, perché anticamente al posto della notazione standard si utilizzavano rispettivamente le sequenze “C, I, C rovesciata” (1.000) e “I, C rovesciata” (500).


l’UNICA SOMIGLIANZA VEROSIMILE DA POTER PARAGONARE AL NOSTRO CONCIO POTREBBE ESSERE QUESTA:

Rif. Web : 69 Z. Pane in bronzo con diametro di cm.26 con segno di valore XXVII sulla faccia superiore. II° secolo (100- 200 dopo Cristo)


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ACCANTO, SI NOTA UN SECONDO PANETTO QUADRATO con incisioni presenti ma non più leggibili in cui si scorgono caratteri simili a  I V oppure T V.  
Confusamente si notano altre incisioni purtroppo corrose dal tempo. 
Pure questo concio si ipotizza sia stato lasciato volutamente scoperto.  



Questa è la casa stile bizantino a Montombraro che conserva i 2 panetti sopracitati.


Fra le case più antiche del borgo, è ubicata nel pieno centro storico del paese.
Costruzione di architettura fuori dall'ordinario, presenta uno stile orientaleggiante assai
diverso dalle usuali abitazioni rurali del borgo.
A nostro parere sarebbe da studiare non solo per i 2 conci osservati, ma anche a livello architettonico per il suo stile "forestiero" retaggio forse di qualche usanza o emigrazione bizantina?
Questo territorio, durante i conflitti accesisi fra Longobardi e Bizantini faceva parte dell'Esarcato bizantino. I longobardi si erano attestati al di là del Panaro, sulla riva sinistra. Con la conquista definitiva da parte di Liutprando, Re dei Longobardi (729) anche queste terre furono definitivamente occupate.






5. LE GALLERIE SOTTERRANEE




Le antiche gallerie di Montombraro (quelle conosciute e documentate dalla gente anziana di paese) sono 3. Alcuni anziani fortunatamente ancora le ricordano per averle frequentate da piccoli nei loro giochi.
Ecco una ns. rielaborazione circa la loro esatta ubicazione.
La popolazione più giovane forse non sa dell'esistenza in loco di queste gallerie sotterranee in quanto 
2 sono state chiuse dopo gli anni '60/70 (galleria di levante e galleria di ponente) mentre quella centrale è ancora visibile. 
Oltre le testimonianze oculari, ed in altri casi tramandate oralmente fra la gente del luogo, esistono scritti in materia che ne avvallano la preesistenza e ne indicano un uso più conosciuto di quello tramandato.    
                                                                                         vedi: “AA.VV - Il Frignano – un mosaico 
di valori Ed. LMA, 1970 (Bibl.Estense-Mo)

L'Autore del libro riportato qui a lato, le descrive come vie di comunicazioni sotterranee e funzionali al borgo, frequentate nel medioevo secondo gli usi dell’epoca. Tenendo presente che il borgo era interamente fortificato e cintato da mura, questi camminamenti interni rappresentavano una sicurezza di supporto. Del resto non è una novità che molti paesi e città disponessero di vie di fuga e di collegamenti col sottosuolo.
Probabilmente anche queste gallerie dovevano essere tutte collegate fra loro, in particolare alle “vedette”, cioè alle torri di avvistamento e alla Rocca. Si dipartivano dall’alto, cioè dall’area più alta del castello per diramarsi in 3 punti del borgo, cioè a Levante, a Mezzogiorno e a Ponente. Perlomeno questo è quanto si sa al momento, sulle testimonianze riportate da alcuni anziani del paese. Se il reticolo, in epoca precedente era ancor più organizzato , potrebbe essere anche più ampio di quanto si  conosca ad oggi;  sarebbe cosa ancora da scoprire ed appurare.

Per capire esattamente dove sbucavano, siamo stati sul luogo insieme agli anziani. E’ importante scriverne per non perderne la memoria.  Come detto, queste vie del sottosuolo unitamente a tutti gli altri elementi estrapolati da documenti ed immagini indica M. Ombraro come un borgo estremamente difeso e fortificato. La presenza di gallerie fra loro collegate, un vallo, strutture murarie, un fossato, ne testimoniano una organizzazione architettonico-militare alquanto strutturata.  


GALLERIA DI PONENTE

Su attendibile testimonianza del Sig. Leopoldo Lotti, anziano di Montombraro, sono emerse notizie importanti su questa galleria.

Il Sig. Lotti l’ha vista, ed essendo anche ex muratore ne ha potuto descrivere i dettagli tecnici.
Egli l’ha anche illustrata qui a lato.
La galleria sbucava nel cortile poco dentro l’incrocio fra l’attuale Via della Piscina (che va in direzione via Fontaneda) e la via principale. 
 Attestandoci sui toponimi del catasto del 1893, questa galleria posta sul piano più basso del paese, collegava le Aie di sotto con le Aie di sopra. E’ presumibile poi che prosegua sotto il Viazzolo, fin su, alla chiesa vecchia e quindi collegandosi all’area castellana. Praticamente, oggi rimane nell’area cortiliva fra la casa del Sig. (fu) Efro Rossi e l’attuale Negozio Leonelli.
 
Il Sig. Lotti così la descrive: “fornita da doppi mattoni di testa che presenta un diametro di circa 2,20-2,50 mt.” affermando anche che ci si entrava bene, oltre altezza d’uomo.
Dalla descrizione delle misure si evince una galleria di ampiezza più che agevole, atta al passaggio di birocci, cavalli e persone. Si riporta che fosse pavimentata, così come quella disposta a levante.
In prossimità di questa galleria è documentata, fino al 1955, anche una casa-torre. (abitazione del fu Efro Rossi) oggi ribassata e adattata ad uso di comune abitazione.
Questa area rappresentava il limite della fortificazione occidentale del Castello. La presenza di una casa-torre in questo luogo deve aver avuto importanza nel passato, come torre di difesa e di avvistamento orientata sul settore di Ponente che dà sulla vallata del Samoggia e del Modenese, nonché sulla via pubblica per tutto ciò che si muoveva da Ovest. Non sarebbe un caso l’abbinamento fra casa-torre e galleria, quali elementi-simbolo della fortificazione su quel lato strategico del paese.

Le gallerie consentivano di ripararsi dal nemico, di effettuare prontamente i collegamenti fra i vari punti del borgo, consentendo di armarsi anzitempo e mettere al riparo quanto più possibile. Poteva anche fungere da via di fuga verso l’altro lato (a levante) della fortificazione.



GALLERIA A MEZZOGIORNO

Di questa galleria si conosce solo il primo tratto superiore, che è tuttora agibile e visibile. Si tratta cioè di quel tratto sotterraneo che collega la sommità di Montombraro (ovvero la Chiesa Nuova con la Canonica sottostante) nel punto a mezzogiorno del borgo. Questo piccolo tratto conosciuto che conduce alla Canonica è largo ca. 1,20 mt., alto quasi 2.50 mt. ed è completamente pavimentato.

C’è da dire che questo tratto di tunnel fu ricavato dal Parroco Don Girolamo Bortolotti nella primavera/estate del 1804 , fra le sue memorie si legge : “[…] si è travagliato in un’ opera che fu sempre riportata impossibile, cioè di unire la canonica alla chiesa per una via sotterranea essendo il monte composto tutto di durissimi macigni strettamente legati. "
Il prete conosceva sicuramente le gallerie percorribili esistenti in loco qui descritte poiché erano aperte, nel documento non si parla di un tunnel preesistente (in ugual misura non si può nemmeno affermare il contrario) e questo primo tratto sembra esser stato realizzato in quel periodo. Forse il Parroco pensò all’utilità di queste vie sotterranee che già servivano il paese, realizzando un progetto similare a quello lasciato dagli antichi. Oppure trovò già qualche traccia passaggio sotterraneo da ampliare ? Nel documento non si evince né l’una, né l’altra certezza.



GALLERIA DI LEVANTE


La galleria di Levante, scendeva dall’alto del monte (non è dato conoscerne l’imbocco) e sbucava dabbasso su Via Fontaneda dietro il Collegio San Carlo, appena fuori delle mura, in prossimità con l’attuale parcheggio.
Fu utilizzata, durante il 1900 per conferirvi la spazzatura, prima che venisse richiusa negli anni ’70.
Qualche paesano ne ha ancora buona memoria.
Il Sig. Aurelio Balugani, nato nel 1926, dice di averla frequentata in epoca adolescenziale poiché da ragazzo era studente del Collegio San Carlo e talvolta i ragazzini andavano in quel luogo a giocare.
Ci ha indicato il punto preciso di dove era ubicata (vedi foto sopra) descrivendola pavimentata e non grezza, larga abbastanza per passarci con un carro, di lunghezza relativa, ovvero solo 5 metri addentro.
Invece, il Sig. Lanfranco Tonioni, coetaneo del Sig. Balugani, pur riferendo le stesse dimensioni e caratteristiche, dichiara che si estendeva ben più di 5 metri e che si poteva procedere al suo interno per circa 30/40 metri, dopodiché risultava ostruita.




6. LA GHIACCIAIA o NEVIERA


E’ una costruzione del passato che merita di essere valorizzata e conosciuta maggiormente.
Si trova proprio di fronte al piazzale che rimane dietro l’ex Istituto S.Carlo, all’interno di una proprietà privata, si affaccia sulla Strada Fontaneda.
Questa ghiacciaia ipogea è situata dirimpetto (a soli 20 metri) dallo sbocco della Galleria di Levante.
Chissà se si  tratta di  un  manufatto antico 
già in loco e riadattato per i propri usi dai posteri? 
Anche qui può rispondere un archeologo mentre noi possiamo solo suggerirne l'indagine. 
Ancora ben strutturata sta però cedendo al tempo e necessiterebbe un urgente intervento di recupero allo scopo di mantenere un bene ritenuto importante dagli studiosi di Architettura storica, in quanto appartenuto ad altre epoche.

La proprietaria afferma trattarsi di una costruzione recente, di inizio 1900 o fine 1800 ma non vi sono elementi certi o documenti che ne attestino l’età, ci si attiene alla “parola”. In mancanza di documentazione, (la proprietaria potrebbe avere foto? documenti o elementi scientifici identificativi della sua età di costruzione?) potrebbe pure risalire ad epoche precedenti, una valutazione tecnica
in materia sarebbe alquanto utile, perché a prescindere che la struttura sia più o meno recente, queste ghiacciaie, in Italia, sono state tutte rimesse in sesto e valorizzate dai propri Comuni di appartenenza per essere “manufatti di importanza archeologico-agricola” , sia quelle più recenti (costruitre fra 1800 e il 1900 ), sia quelle medioevali risalenti ad epoche fra 1400 e 1600. 
A prescindere quindi dalla sua datazione, questa ghiacciaia meriterebbe di essere studiata e rivalutata come peculiarità paesaggistica del paese di Montombraro.
 
Tutte quelle al momento censite in Italia, sono state ristrutturate e messe in sicurezza, vengono oggi visitate da studiosi, scolaresche e semplici turisti. Sarebbe una bella e importante cosa, data la preziosità di questo elemento architettonico ancora presente sul territorio di Montombraro , che qualche Ente (Comune, Pro-loco- Associazioni di cittadini) si facesse carico di rivalutarne l’interesse storico, per non abbandonarla all’oblìo, dando luogo a un progetto di valorizzazione del manufatto per portare a Montombraro quanta più gente possibile ad ammirare un qualcosa che oggi non esiste più ma che in tempi remoti fu assai utile alla vita quotidiana dei nostri progenitori.

E’ anche probabile, qualora il nostro manufatto si rivelasse di epoca medioevale, che fungesse da Neviera.
La Neviera è una struttura ipogea (scavata nel sottosuolo, come quella di Montombraro) che può raggiungere la profondità di 6 mt.o più, con diametri variabili. Si trattava di luoghi con caratteristiche particolari in cui si stipava la neve allo scopo di ricavarne il ghiaccio. Per svolgere questa funzione venivano sfruttati freddo ed acqua, entrambi elementi intensamente presenti nelle regioni di montagna.

Anche se questa pratica fu introdotta dai Romani [1] e dai Greci che ne fecero largo e diffuso consumo/commercio, la compravendita della neve fu molto praticata nel Medioevo, si sviluppò principalmente tra il 1300 e la prima metà del 1900. Questi furono i secoli della cosiddetta Piccola Età Glaciale durante la quale le basse temperature permisero frequenti nevicate e durevoli formazioni di ghiaccio anche a quote relativamente basse. Solo con tale presupposto si possono oggi giustificare queste strutture: da due secoli il clima si sta naturalmente evolvendo in un nuovo periodo caldo, tendenza notoriamente accentuata dall’influenza dell’uomo.
Le Neviere avevano la necessità di situarsi in luoghi freddi, di mantenere un elevato isolamento termico, di evitare qualsiasi immissione di acqua e di possedere un buon drenaggio delle acque sul fondo. Il ghiaccio o la neve rimanevano isolati dalle pareti per mezzo di materiali coibentanti come paglia, foglie o fronde. Gli stessi materiali venivano inseriti tra i progressivi strati di ghiaccio o neve (alti circa venti centimetri) che si elevavano sino al totale riempimento dei volumi. Il lavoro di riempimento e svuotamento era agevolato dal posizionamento di impalcature formate da tavole e travi; quest’ultimi venivano inseriti nei fori perimetrali ancor oggi visibili.
In montagna, ove prevalevano le neviere al posto delle ghiacciaie : pozzi subcilindrici, o troncoconici, in pietra a secco scavati su poggi rivolti preferibilmente a settentrione spesso in prossimità di depressioni o di avvallamenti al fine di agevolare l’accumulo e la raccolta della neve o di acqua ghiacciata.

Questa veniva raccolta nei prati circostanti, e poi mediante il gerlo portata in prossimità dell’imbocco che solitamente era sistemato al vertice della cupola. Qui altre persone gettavano la neve tramite la botola all’interno della ghiacciaia mentre altri aiutanti dentro la ghiacciaia ne sistemavano e ne compattavano la neve.

ll ghiaccio destinato alla vendita e al consumo era prelevato dalle neviere nelle ore più fredde del giorno, veniva quindi compattato in appositi contenitori opportunamente coibentati per essere trasportati a dorso di mulo o di bue a destinazione. Il ghiaccio era altresì trasportato con gerle dall’uomo. Normalmente il viaggio dalla neviera alla città avveniva di notte o nelle prime ore del giorno per evitare un eccessivo scioglimento del ghiaccio.
Il fatto che la nostra Neviera fosse in diretta prossimità con la Galleria di Levante non sembrerebbe un elemento così casuale. (come ribadito, occorrerebbe datare scientificamente la detta ghiacciaia). Nel caso in cui risultasse di età medievale, la galleria poteva fungere da collegamento alla stessa. E si potrebbe allora ipotizzare che fosse la Neviera del Castello e dell’intero paese. Tutti i castelli avevano la loro ghiacciaia in luoghi riparati e morfologicamente adeguati ed averne una era segno di ricchezza e di distinzione.

Non è un caso che talune ghiacciaie di castelli medioevali venissero realizzate al di fuori delle mura, in luoghi protetti dalla vegetazione, luoghi ombreggiati al riparo dal sole, spesso rivolte a Settentrione o a Levante, luoghi idonei sia alle correnti atmosferiche sia al drenaggio e alla raccolta stessa della neve, in prossimità di bacini d’acque od ampi spiazzi ove condurre carriaggi per il trasporto della stessa nella Neviera.

Le neviere maggiori hanno un diametro dai tre ai quindici metri, occasionalmente pareti intonacate, copertura a volta o a botte, spesso una scala ricavata nella muratura perimetrale alla quale si accedeva tramite una porta. La neve era stipata in strati di dimensione conveniente al fine di essere facilmente frantumata al momento dello svuotamento. Lavoro eseguito con una strumentazione dedicata allo scopo come, ad esempio, larghi e corti picconi. Un poco di paglia, o altro materiale idoneo, divideva i progressivi strati di neve pressata.

La nostra ghiacciaia presenta queste dimensioni : diametro circa 3- 3,5 metri – profondità 4-5 mt. ca –cupola a volta in sasso, pareti in sasso.
Se era presente una muratura esterna di protezione, oggi non esiste più.
Dalle dimensioni sopra citate sembrerebbe trattarsi di una neviera di una certa importanza.
Servì la popolazione di M.Ombraro fino al primo dopoguerra, per la conservazione della carne e dei cibi dopodiché cadde in disuso.


Come da foto sopra , le due strutture risultano molto simili fra loro. Presentano le stesse dimensioni. Quella medioevale di Strozza (BG) è diventata oggetto testimoniale e richiama ogni anno, come dichiara il Sig. Giuseppe Ghidorzi, ricercatore e scopritore della medesima, migliaia di persone e scolaresche. Questa scoperta ha consentito al paese di riprendere forte impulso e sviluppo.
Perché dilungarsi a parlare di Strozza ? Perché Strozza dovrebbe servire a mostrare come dare nuovo imprinting anche a Montombraro. Si tratta di paesi piccoli ma che possiedono nel loro territorio manufatti del passato di notevole importanza, che in funzione di questa, diventano oggetto di interesse collettivo.
Anche la ghiacciaia qui sotto riprodotta è stata rivalutata e salvata. Ubicata nella periferia ovest di Bologna, in origine era adiacente e funzionale a due ville signorili bolognesi. (SECOLO XVII):

Ghiacciaia simile per geo morfologia alla nostra ghiacciaia - epoca 1600


Non crediamo esista un censimento nazionale su ghiacciaie/neviere, ma a Bologna è stato realizzato nel 2010 un progetto censuario (il cuore freddo di Bologna : recupero e valorizzazione delle antiche ghiacciaie bolognesi) che raccoglie i dati della città di Bologna e della sua provincia. Ad oggi risultano ufficialmente censite n. 80 ghiacciaie/neviere in Bologna-città, e n. 40 nella provincia.
Per Modena non abbiamo trovato riferimenti in materia.
Altrove esistono “Musei del ghiaccio”, nei quali sono illustrati tutti i procedimenti e le ghiacciaie sono visitabili, quella ad esempio di Cerro Veronese, quella della Madonnina nel Pistoiese, tra le più celebri troviamo quella di Villa Spada, e quella di Villa Bernaroli a Zola Predosa ma anche San Lazzaro può vantare una ghiacciaia di tutto rispetto, seppur meno nota: all’interno del parco di Villa Dolfi Ratta possiamo infatti ammirare un’antica ghiacciaia settecentesca ancora intatta. A Bologna (la ghiacciaia del Sant’Orsola) o Cesenatico, le ghiacciaie sono visitabili turisticamente, inserite in tour organizzati, alla scoperta degli angoli più nascosti delle città e dei paesi.

Da oltre un secolo le neviere e le ghiacciaie hanno concluso la loro importante funzione e come qualsiasi altra struttura se non gli conferiamo una nuovo ruolo sono destinate a decadere.
Ci si augura allora che questa “preziosità” esistente nel nostro territorio venga salvaguardata da “chi di dovere“ e portata a testimonianza per le nuove generazioni realizzando percorsi non solo di studio ma anche a livello turistico-enogastronomico. 
Oppure, recuperando tale manufatto, crearvi un museo attinente l’argomento, ampliando la tematica ai lavori agricoli della montagna, alle tipicità locali, realizzare gemellaggi, feste/raduni/incontri, che portino una ventata di innovazione e sviluppo. Pensare a una festa in costume medioevale e altre novità che vengano a sostituire/affiancare le solite ricorrenze.
Superfluo poi dire che sarebbe per il paese un investimento ulteriore in termini economici e di visibilità.

Abbiamo fatto analizzare dal Geom. Giuseppe Ghidorzi di Strozza , (tecnico esperto di Ghiacciaie/Neviere), lo stato conservativo della ghiacciaia di  Montombraro. Ecco l'analisi di Ghidorzi.







7. I POZZI E I POZZI RASOI

 
Sarebbe anche interessante conoscere quanti sono i pozzi antichi esistenti nel borgo centrale di Montombraro per tentare di comprenderne le origini. Alcuni saranno relativamente recenti, ma qualcun altro anche molto più antico di quanto si pensi.
Per esempio, durante lavori effettuati dietro la casa del Sig. (fu) Efro Rossi , è stato rinvenuto poco tempo fa un pozzo profondissimo di circa 10/11 metri e molto largo.

Non sarebbe bello poter capire a che periodo risale ? Dati i vari segni esistenti a Montombraro, che indicano date forse antecedenti al Medioevo, si sa che gli archeologi, in tema di pozzi antichi (soprattutto pozzi romani) basandosi su molti scavi effettuati nel Bolognese, sono giunti alla conclusione che in ogni casa non poteva mancare un’area adibita a magazzino e un pozzo all’esterno, dal quale attingere acqua. Questi pozzi potevano raggiungere fino ai 10 metri di profondità e dai resti rinvenuti si nota la somiglianza impressionante con i pozzi attuali. [1]


[1] vedi : http://www.archeobologna.beniculturali.it/bo_san_lazzaro/pozzo_caselle.htm


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8. REPERTI CON SIMBOLOGIA MARIANA

REPERTI IN FERRO TROVATI NEL 2019 NEL CAMPANILE DELLA CHIESA VECCHIA

Sono 2 e riportano entrambi il simbolo della Vergine Maria  -  M  A  V  - incastonati fra loro nel centro. 
Essendo la Chiesa vecchia dedicata alla Madonna del Carmelo, riteniamo siano reperti di cippi cimiteriali in quanto alla struttura apparteneva il piccolo cimitero medioevale, cimitero utilizzato fino al 1900 ca. I reperti sarebbero da datare e da comprendere.
 






9. CIPPO ORNAMENTALE ?

CIPPO TROVATO NEL 2019 NEL CAMPANILE DELLA CHIESA VECCHIA UN CIPPO IN FERRO? DOUBLE FACE CON SIMBOLOGIE SU ENTRAMBE LE FACCE. 

sembra pregevole in quanto utilizza le stesse forme per delineare simbologie diverse.
Cippo in ferro? piantato su pietra quadrata. Pietra con “fasciatura” finto granito (postuma recente artefatta?).

Pietra dimensioni 35x30x20 ca. – decorazione in ferro 35x30 ca.
Dalla pietra si evince una scalpellatura sul piano, forse hanno asportato qualcosa ritenuto importante.


1^ Facciata fronte


Questa faccia presenta il simbolo della croce longobarda o templare, presenta la figura dell'Angelo e la parte scura sembrerebbe un .... serpente?  Mancano iscrizioni scritte.


2^facciata retro

Il retro della facciata si presenta così:
al posto del serpente c’è una decorazione floreale mentre dalla parte dell’angelo non si riesce a capire la simbologia si notano 2/3 occhiature; al centro sembra un’ara con raffigurazioni non identificabili.






10. PIETRA DEL CIMITERO DELLA CHIESA VECCHIA

 

Dimensione piccola al pari di una mano, mostra segni rudimentali di graffiti. Si nota una specie di corona punteggiata nella 2^ scanalatura a dx.

Si nota una specie di linea verticale incisa a sx con decori rudimentali e una linea orizzontale tracciata in basso. Più che una pietra naturale sembra un tentativo di graffito.
La stranezza è che risalta nella parete murale di colore bianco e pare si sia voluta apporre come elemento differenziale rispetto il contesto murario 




11. PALLINE BIANCHE (PROIETTI ?)

Rinvenuti molti elementi rotondeggianti di apparente materiale pietroso, in luogo Dogana, sul crinale.
le pietre hanno una circonferenza fra i 2 e 3 cm., appaiono levigate di un colore latteo.

                                                
    

Crinale "la Dogana" - luogo di accampamenti militari a difesa dei confini  
   

Non siamo riusciti a capire cosa siano; se scarti di lavorazioni moderne o manufatti naturali o reperti particolari. 
L'unica cosa che somiglia a queste palline tondeggianti (se vogliamo stare sulla ricerca storica)  sono i proietti, ossia antichi proiettili MEDIEVALI da moschetto o archibugio.
Questi materiali sono da appronfondire.

(bibliografia di rif.: APM – Archeologia Postmedievale, 13, 2009 - Conflict Archaeology ...a cura di Marco Milanese
(vedi link : Proietti)




12. MONETE VARIE TROVATE A "Casa Patone"

MONETE (di proprietà del ns. Gianni) di varia data rinvenute sul fondo di Cà Patone. 

Quattrino del 1604

Note nostre su questa moneta 

E' un quattrino battuto per la città di Bologna (di qui la scritta BONONIA DOCET) che pur facendo parte degli Stati della Chiesa manteneva una certa autonomia amministrativa, comprendente il mantenimento del privilegio di zecca e un sistema monetario leggermente differente da quello pontificio. La moneta se è del 1604 come ci sembra, fu battuta sotto il Pontefice Ippolito Aldobrandini. Si tratta di un quattrino in rame per Bologna, del tipo con il leone vessillifero, anepigrafe, al rovescio.

Questa moneta fu coniata quasi ininterrottamente dal 1604 fino al 1758, e solo la data, in mancanza dell'indicazione del pontefice regnante, consente di attribuire la moneta ad uno specifico papa.

Doppio Giulio del 1756

Note nostre su questa moneta 
ROMA - Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini), 1740-1758. - Doppio giulio 1756 a. XVI.
Alcuni papi batterono anche un doppio giulio (pezzo doppio, del valore di 20 baiocchi).
Gr. 4,97 Materiale: argento


Centesimo del Regno Napoleonico - primi del 1800

Note nostre su questa moneta 
Tipo : 1 Centesimo  Data: 1811  Nome della officina / città: Milano
 Quantità coniata : 1990132 -Metallo : rame- Diametro : 19 mm
 Asse di coniazione : 6 h.- Peso : 2,19 g.- Orlo : lisse

La descrizione della moneta corrisponde alla moneta di Gianni come dimensione, la data sulla nostra moneta rimane però non leggibile, la testa quasi invisibile.


1 lira - Regno d'Italia - Umberto I - 1884

Note nostre su questa moneta 
Paese Italia Valore 1 lira Anno 1884-1900
Periodo Re Umberto I 1878 - 1900 Composizione Argento 0.835 Peso (gr) 5
Diametro (mm) 23 Spessore (mm) 1.4 Tipo di bordo Iscrizione
Forma Rotonda Tipo di moneta circolante Allineamento Moneta (180°)
Descrizione del bordo *FERT*

La moneta di Gianni ha le stesse caratteristiche descrittive.  


20 centesimi del Regno d'Italia - 1918 -20

Note nostre su questa moneta 
Paese Italia Governo Vittorio Emanuele III Anno 1918-1920
Valore 20 centesimi Composizione Cupronichel Tipo di bordo Varietà
Peso (gr) 4 Diametro (mm) 21.5 Spessore (mm) 1.4
Forma Rotonda Allineamento Moneta (180°) Tipo di moneta circolanti
Periodo Re Vittorio Emanuele III (1900 - 1946)

note descrittive: La storia delle monete Italiane da 20 Centesimi è affascinante e riflette le vicissitudini storiche e politiche del periodo Classico e Moderno tra la fine del 1800 e la metà del 1900. Ogni moneta ha una storia che la rende particolare e interessante, non solo dal punto di vista Numismatico, ma anche Artistico. Infatti, alcune di queste monete sono considerate tra le più belle monete della Numismatica mondiale della prima metà del 900′.
Tra prove, progetti, ritiri, ri coniazioni e sperimentazioni di nuove leghe questo periodo storico ci ha lasciato in eredità un gran numero di monete da 20 centesimi rari!

Indice dei Contenuti
Periodo Classico 1861 – 1911
20 centesimi 1863 “Stemma” Vittorio Emanuele II
20 centesimi 1863 “Valore” Vittorio Emanuele II
20 centesimi 1894 Umberto I – Nichelino
20 centesimi 1908 “Libertà Librata” Vittorio Emanuele III
20 Centesimi rari 1907 PROGETTO
Periodo Moderno 1911 – 1945
20 Centesimi Esagono 1918 PROVA
20 centesimi 1918 “Esagono” Vittorio Emanuele III
20 centesimi 1936 “Impero” Vittorio Emanuele III
20 centesimi 1936 “Impero” PROVA

Periodo Classico 1861 – 1911
Dal punto di vista monetario questo periodo fu ricco di cambiamenti che sottolinearono le differenze tra i due periodi del regno di Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna prima Re d’Italia poi.
Le differenze tra le monete del Regno di Sardegna e quelle del nuovo Regno d’Italia furono diverse, una di queste è la troncatura del collo sulla figura del Re sul retro delle monete.
Infatti le monete coniate durante il periodo di Vittorio Emanuele II Re di Sardegna lo ritraggono col “Collo Lungo“, quelle coniate nel corso del regno di Vittorio Emanuele Re d’Italia vedono raffigurato il Re con il “Collo corto”
Altra differenza è l’uso della lingua Latina per le monete del primo periodo e quella Italiana nel secondo periodo.

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